Un vaffa al 2020

 

SEMBRAVA IMPOSSIBILE CHE QUESTO ANNO FINISSE. UN ANNO CHE CI HA RUBATO TANTO. CI HA RUBATO I BACI, GLI ABBRACCI, LE RISATE, I BALLI, LE FESTE, I VIAGGI; A TANTI HA RUBATO IL LAVORO E A TROPPI PURE LA VITA. RICORDIAMOCI CHE LA VITA È MERAVIGLIOSA ANCHE SE CI PRENDE PER IL CULO. DIAMOLE UN BEL CALCIO AL 2020 E AVVISIAMO IL 2021 CHE QUESTA VOLTA SIAMO ATTENTI, CHE FAREMMO DI TUTTO PERCHÉ QUESTO ANNO SIA UN ANNO ‘’NORMALE’’…

 

Sembrava impossibile che questo anno finisse. Un anno che ci ha rubato tanto. Ci ha rubato i baci, gli abbracci, le risate, i balli, le feste, le lauree, i viaggi; a tanti ha rubato il lavoro e a troppi pure la vita.

Ammettiamolo: il mondo fa venire i lucciconi. Se possibile, è orribile. In questa nostra epoca, parafrasando Woody Allen, le due parole più belle che si possono ascoltare non sono “Ti amo”, ma “È negativo”. Siamo in una valle di dolori, però a colori. Zac! Zac! Ogni giorno un decretino chiude qualche sollazzo della vita umana. Già ci avevano tolto Dio, la Rivoluzione, il Tabacco, il Sesso Porcone, ora hanno deciso di far fuori anche il santo Natale e prosaico Capodanno.

Addio alle vacanze alle Maldive sbirciando Belin Belen, no alle tavolate in ristoranti dove insieme al conto ti portano pure il referto medico, no ai brindisi con rutto assassino, no ai “vaffanculo!” sotto l’albero della famiglia allargata a zii e nonni. Fuori tutti! Sapete cosa suggerisce Corrado Moretti, primario emerito del Policlinico Umberto I di Roma nonché presidente della ‘’Union of european neonatal and perinatal societies’’, come festa alternativa?

“I più piccoli e i più grandi devono imparare ad incontrarsi fuori casa, in un parco, al mare, in montagna”. Bene prof, e poi che famo, una volta sottozero, noi vecchietti? “Si può giocare insieme con una palla tirandola con il piede per evitare la trasmissione con le mani. Non possiamo abbracciarci ma possiamo far capire che comunichiamo comunque”. Bravo prof, questa me la segno.

Diciamolo subito: sono tra quelli che ritengono il Capodanno una santissima rottura di profitterol: doveva sostituire la Pasqua come giorno di penitenza, il Carnevale come giorno di scemenza, il Ferragosto come giorno di pestilenza: è infatti a mezzanotte, davanti a un tripudio di cotechini al microonde e di lenticchie ripassate sul pavimento, che si fa ammenda per aver persistito durante undici mesi e trenta giorni nel dichiararsi parenti di un mucchio di gente antipatica e inutile, che a malapena si sa chi sia.

Va meglio per il tran-tran coniugale, come annota il puntuto pennarello di Ellekappa: “Le vacanze sono splendide. Si ha più tempo per non avere niente da dirsi col proprio partner”.

Lasciamo perdere, poi, chi deve sbrogliare la festività con una famiglia cosiddetta “allargata”, nuclei più popolosi di un condominio. Figli di qua, figli di là: mocciosi che a due anni trasformano il pannolino in una cintura borchiata. A sei conoscono la vita sempre più scema dei social.

A dieci sono schiavi di Tik Tok. A dodici si riuniscono come mafiosi per ascoltare musica trap e farsi una canna sbirciando una serie horror su Netflix, e poi via a sbattersi di motorino alla caccia di una festa. Sbarbatelli pestiferi di 12, 13, 14 anni che non chiedono più, ai piedi dell’albero, il trenino elettrico o la Barbie da travestire, ma smaniano per la violenza-divertimento, il saccheggio-spettacolo, il linguaggio senza pensiero.

L’episodio che segue non è una storiella faceta ma un segno reale di come la famiglia è cambiata nel tempo. Ecco una coppia con due figli che va dall’avvocato. “Abbiamo rinunciato a divorziare”, gli dice. “E’ stato per via dei bambini”. L’avvocato sorride con approvazione. “Sì”, completa la donna, “nessuno di noi due voleva tenersi i ragazzini”.

Riassumendo: le festività natalizie sono diventate, a partire dagli anni Sessanta, il solo giorno dell’anno sacro al nostro prodotto nazionale lordo. Il cibo diventa un dovere, gli affetti diventano uno stress, la casa diventa Barilla. Ormai c’è più spiritualità in Barbara D’Urso che sotto l’albero. Insomma, ma che cazzo c’entra Gesù? Duemila anni fa, a Betlemme, nasceva il colesterolo.

Però, di colpo, davanti alla scomparsa per Covid del Natale, anche i più cinico-spensierati, forse per la prima volta, stanno provando una sorta di inquietudine strana, una fastidiosa incertezza, una nuova paura: la paura di perdere l’Età dell’Innocenza.

Massì: quel che sembrava un brutto ricordo del passato, bacucco e obsoleto – “partiamo per le vacanze il 22 dicembre così ci togliamo dalle palle quel bombardamento di bombe epatiche di natalini e regalini” – ebbene, una volta cassato, ci fa capire invece che mai come oggi il “formato famiglia” è la sola rete salda anche se spesso infastidita, turbolenta, disperata, che lega le persone, le generazioni, il sol luogo degli affetti sia pure conflittuali e della normalità sociale sia pure in difficile equilibrio.

Roberto D’Agostino (foto di Massimo Sestini)

Ai tempi dei miei genitori, prima dell’era dei consumi, il pranzo di Natale, all’ombra del presepe, la tavola che si riempiva di qualsiasi goduria, era simbolo di prosperità. E rinnovarla ritualmente, almeno nel giorno di Natale, era un rito propiziatorio, uno scongiuro contro l’indigenza quotidiana. Era come se la notte del 25 dicembre il cibo, il presepe, la tombola, le patacche firmate etc. diventassero il ricostituente del legame comunitario, un modo per riaffermare la propria appartenenza mangiando insieme, mangiando da Dio.

Un simile comportamento è stato sbattuto come una maionese dal moulinex della modernità. La famiglia, ci ripetevano esperti del costume e psicoterapeuti, è un istituto degenerato. Negli anni ’70, per Alberto Moravia, addirittura, “un’associazione a delinquere”.

La tragedia della pandemia ha rovesciato tutte le idiozie del passato. L’affanno è aumentato, siamo soli e smarriti, impoveriti dalla recessione, impauriti dal male. Allora ci si interroga su quel vuoto, grandioso, un po’ sinistro contenitore che si avvicina. Arriva un anno con una targa, un numero, e non sappiamo se è il nostro numero del lotto, il numero che appare nelle foto segnaletiche dei ricercati, o un messaggio enigmatico che dovremmo decifrare.

Per affrontarlo, sentiamo salire nel sangue il “richiamo del focolare”, la ricerca di un “piacere semplice”, l’immagine di una “buona famiglia”, il bisogno mistico, biologico di una liturgia fatta di calore e calorie, tombolate comprese lanciando i fagioli segna-numero.

Ricordiamoci che la vita è meravigliosa anche se ci prende per il culo.

Diamole un bel calcio in culo al 2020 e avvisiamo al 2021 che questa volta siamo attenti, che faremmo di tutto perché questo anno sia un anno normale.

Vaffanculo il 2020! BUONA SERATA

 

 

 

 

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